mercoledì 15 ottobre 2014

Gli amori folli (Les Herbes Folles) di Alain Resnais

Un film di Alain Resnais. Con Sabine Azéma, André Dussollier, Anne Consigny, Emmanuelle Devos, Mathieu Amalric.  Titolo originale Les Herbes Folles. Drammatico, durata 104 min. - Francia, Italia 2009. IMDb 6,2 
Come spesso accade con i «grandi vecchi»-e Resnais quando presentò Gli amori folli l’anno scorso a Cannes (premio speciale della giuria) stava per compiere ottantasette anni-l’età e i riconoscimenti ottenuti finiscono per trasformarsi in una carica «libertaria» che cancella imposizioni e regole, paure e limiti, dando il là a opere che finiscono col sorprendere per invenzione e libertà. Proprio come succede con questi amori folli, «infedele» titolo italiano di un originale (Les Herbes folles) che spiega meglio l’immagine ricorrente nel film delle erbacce selvatiche che nascono dove meno te lo aspetti, nelle più inaspettate fessure del cemento stradale.
 
Per Resnais è una poetica ed eloquente metafora dell’imprevedibilità delle azioni umane, di cui cercherà di dare una altrettanto poetica e «imprevedibile » dimostrazione con i casi che un bel giorno fanno incrociare il destino di Marguerite Muir (Sabine Azéma) e Georges Palet (André Dussollier): lei subisce lo scippo della borsa, lui ritrova il portafoglio abbandonato dallo scippatore, lei telefona per ringraziare, lui vorrebbe qualche cosa di più, almeno un incontro...
 
Ma si ingannerebbe lo spettatore se dopo questo inizio si aspettasse un qualche tipo di evoluzione verso il melodramma amoroso. Così come sono destinati a restare sospesi e indeterminati gli indizi che possono far pensare a una qualche «perversione» di Georges, costretto a fare ameno dei suoi diritti elettorali e preoccupato che il poliziotto a cui ha riconsegnato il portafoglio possa averlo riconosciuto. Che cosa si nasconde nel passato di Georges? Perché passa i suoi giorni a casa senza lavorare? Perché la moglie (Anne Consigny) sembra non preoccuparsi più di tanto del desiderio del marito di conoscere la proprietaria dei documenti che ha ritrovato? Perché la derubata, che scopriremo vivere da sola, fare la dentista e avere la passione, oltre che il brevetto, per il volo non è infastidita più di tanto delle attenzioni di Georges? E anzi cerca di instaurare uno strano rapporto con la moglie dell’uomo?
 
In un film «normale» sono tutte domande a cui lo spettatore si aspetterebbe prima o poi di ottenere una risposta, o comunque di trovare delle tracce che possano indirizzarlo sulla strada della soluzione, ma con Resnais è fatica vana. Persino il finale è lasciato in sospeso, con lo sberleffo dell’ultimissima scena, dove una bambina (di cui ignoriamo l’identità) chiede alla madre se, diventando un gatto, potrà anche lei mangiare i croccantini.
 
Per tutta la sua carriera il regista bretone si è fatto un dovere di confondere le piste e ingarbugliare le tracce. E non certo per il gusto della sorpresa fine a se stessa. A ripensare ai suoi film, anche quelli più ostici e difficili, non c’è mai niente di gratuito, di fine a se stesso: mescolare i piani della memoria e del ricordo, del tempo e dello spazio è servito a Resnais per togliere allo spettatore le certezze che un cinema fin troppo codificato aveva instillato. 
Difficile identificarsi con uno dei suoi personaggi, difficile dividere con precisione i sogni dalla realtà, il passato dal presente: tutto serve per distruggere le sicurezze che il «realismo» del cinema ha reso lingua universale. Anche il racconto del narratore, che invece di spiegare moltiplica le domande. No, Resnais non ci ha mai creduto e a maggior ragione non ci crede in questo ultimo film, dove il gioco delle sorprese e dei ribaltamenti diventa a un certo momento vorticoso, labirintico, inestricabile.
Con tutti i rischi che questo «gioco » comporta. Perché se chiediamo al cinema di farci dimenticare la logica della vita e siamo disposti a farci guidare verso terreni imprevedibili, allora la sorpresa può trasformarsi in piacere. Ma se il gusto un po’ surreale e iconoclasta di «distruggere » la realtà come la conosciamo ci prende la mano (e qui il sospetto fa capolino più di una volta), se le domande si moltiplicano (quasi) all’infinito e le risposte non arrivano mai, allora il rischio è quello di sentirci di fronte a un’intelligenza di cui sfuggono le ragioni. E il piacere lascia il campo a un sentimento di rispettosa estraneità.
 
Corriere della Sera - Paolo Mereghetti

30 aprile 2010

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